Xin chào, Vietnam



Giorno 4

Mi sveglio alle 8 senza fretta, Leah sta uscendo dalla doccia. “Ho un problema”, dice. Alza la mano con cui sta premendo sulla gamba e del sangue sta uscendo da un taglio. Resisto al leggero mancamento che mi viene sempre in queste occasioni e le chiedo come sia successo.
Mi dice che si è tagliata un neo radendosi.
Ora, ammetto di non aver molta esperienza con il radersi sui nei, ma immagino che non sia la prima volta che lo faccia, visto che è sulla gamba. Mi dice che fino a quel giorno non aveva mai avuto nessun problema, e poi zac e al posto del neo sangue.
Le metto un fazzoletto sopra la ferita e le dico di tenere premuto, prendo una delle magliette che avevo indossato in un giorno precedente e gliela lego stretta in modo che tenga fermo il fazzoletto sotto. Mi faccio la doccia, ci vestiamo e andiamo a chiedere a Minh un cerotto.
Per qualche strana ragione non ne ha in casa. Ha solo il “cerotto liquido”, un misto di tintura di iodio e cicatrizzante che dovrebbe formare una sorta di patina sulla ferita e disinfettarla allo stesso tempo.
La parte disinfettante funziona bene, mi ricordo il dolore dello iodio da quando ero bambino. Questo non è potente come quello che i miei genitori usavano quando ero piccolo, ma deve comunque bruciare. Ricordo che quello che mia mamma mi metteva sulle ferite era marrone e lasciava la pelle colorata. Bruciava così tanto che avevo sempre paura di dire loro che mi ero tagliato. Una volta mio padre ne aveva bisogno per non ricordo quale taglio e io avevo detto “dacci dentro!” a mia mamma, in una vendetta di dolore.
Ad ogni modo, dopo aver verificato che la parte cicatrizzante non sta facendo il suo dovere, Minh coinvolge suo padre che magicamente trova un cerotto vero. Finalmente il sangue smette di uscire, e noto che la mia maglietta ha una bella chiazza di sangue sopra. Minh insiste per farla lavare a sua mamma, dopo aver fallito a cercare di convincerlo che non è necessario mi arrendo e gliela lascio.
Questo episodio sarà ricordato come il taglio del neo.
David è interessato alla guerra del Vietnam, e Minh decide di portarci al museo della guerra. Prendiamo due scooter, Minh carica David e io Leah e ci mettiamo in strada. Ormai il traffico non è più un pensiero, e scorriamo agili tra gli altri mezzi. Per David è la prima volta immerso nel caos, ma non si lascia sfuggire l’occasione di fare foto e video con il telefono mentre Minh guida. Parcheggiamo di fronte al museo, davanti ad un bar dove facciamo una colazione sostanziosa. Minh ci spiega che in Vietnam non hanno una vera e propria distinzione dei pasti, ma a qualsiasi ora sono disponibili le stesse cose. Mi ritrovo così con un piatto di riso e carne di maiale assieme ad un caffè vietnamita. Non mi dispiace, in fondo sono ancora affamato, e ritrovo un po’ di energie. Ci addentriamo al museo, che non ha l’aria condizionata in tutte le sale, e per combattere l’afa compro una lattina di coca cola da una macchinetta. Senza pensarci troppo la apro e mi ritrovo in una piccola pozzanghera appiccicosa, ma a nessuno sembra importare. Mi ripulisco al meglio che posso e iniziamo la visita.
Al piano terra ci sono molti poster e fotografie della propaganda anti guerra americana e anche alcuni manifesti di stati europei che si schieravano contro la guerra. L’argomento sembra delicato avendo un vietnamita e un americano con noi, specialmente sapendo che il padre di Minh era nell’esercito al tempo e il padre di David avrebbe dovuto ma la guerra è finita poco prima che lo spedissero al fronte. Evito di fare qualsiasi commento, non sono un esperto nel tema.
Al primo piano iniziano gli orrori. Foto di villaggi bruciati, tombe piene di cadaveri, persone mutilate o con mutazioni dovute al fosforo. È troppo per me. Inizio a sentire la testa leggera e torno al piano terra ad aspettare che loro finiscano la visita. Ci sono già troppe cose orribili in questo mondo per assorbirne altre.
Quando David si dichiara contento della visita usciamo e andiamo e bere un tè freddo in un bar poco distante. È un posto di qualità, e mi lascio convincere a prendere qualcosa con il ghiaccio dentro. Ricordo bene quello che il medico mi disse, ma spero che ci siano alcuni posti di cui mi possa fidare. In fondo non ho ancora avuto nessun problema di stomaco.
David viene a sapere che siamo già stati al palazzo dell’indipendenza, e vuole visitarlo anche lui. Nessun’altro ha molta voglia di ritornarci, così lo accompagniamo all’entrata e gli diciamo di scriverci quando vuole che lo andiamo a prendere. Io, Minh e Leah andiamo poco distante ad un mercato all’aperto dove vendono libri, cartoline e cose simili. Io e Leah decidiamo di cercare un libro in inglese di un autore vietnamita, pensando che potrebbe essere interessante vedere se lo stile di scrittura sia diverso. Dopo qualche bancarella riusciamo a trovare un libro di un’autrice famosa che non costa troppo, e Minh ci conferma che è un titolo abbastanza conosciuto.
Soddisfatti dell’acquisto, decidiamo di mangiare qualcosa. Minh ci porta in un centro commerciale non distante, dove all’ultimo piano ci sono diversi posti da cui poter ordinare. Un po’ come nel centro commerciale che abbiamo già visitato.
Siamo alla ricerca di uno spuntino, sapendo che anche David avrà fame quando uscirà dal palazzo dell’indipendenza, e prendiamo due porzioni di involtini primavera da dividere in tre. Poco dopo David ci scrive, e lo andiamo a prendere.
Riuniti, decidiamo di andare in un bar che Minh ci raccomanda dove si può mangiare qualcosa e c’è una bella vista sul fiume. Saliamo sullo scooter e ci immergiamo nel traffico.
Arriviamo al fiume e lo costeggiamo su una strada a tre corsie. Dopo circa quindici minuti di guida io e Leah ci chiediamo se Minh non si sia perso o se abbia cambiato idea su cosa fare. Continuiamo a seguirlo godendoci il panorama e il ridotto numero di scooter attorno a noi. Attraversiamo diverse zone della città, da grattacieli a quelle che sembrano zone più povere, finchè non siamo in vista del grattacielo più alto di Ho Chi Minh City, dove abbiamo fatto aperitivo la prima sera, che so essere vicino a casa di Minh.
Come sospettavo, Minh aveva sbagliato strada e di conseguenza cambiato idea su cosa fare, così siamo finiti per tornare nel bar al 75° piano per farlo vedere anche a David.
Arrivati sul terrazzo c’è ancora luce, e riusciamo a vedere tutta la città e anche l’aeroporto in lontananza. Non credo di essere mai stato così in alto, escludendo aerei, ma non ho le vertigini o alcun tipo di disagio. Brindiamo con un cocktail, e circa un’ora dopo usciamo alla ricerca di un posto in cui cenare.

Minh ha voglia di pancake vietnamiti, un piatto che non ho mai sentito nominare prima d’ora e non suona senza glutine, ma quando Minh si fissa su un’idea non si può far molto per fargliela cambiare, un po’ come il whisky a Phu Quoc. Chiede informazioni e un ragazzo ci dice che c’è un ristorante poco distante specializzato in questa pietanza.
Lo cerchiamo per diversi minuti senza fortuna. Controlliamo su internet, e l’indirizzo che ci dà è quello di un grattacielo residenziale. Entriamo, al piano terra c’è una ragazza alla reception. Minh le chiede del ristorante, e lei ci dice di andare in fondo al corridoio, l’ultima porta a destra.
Seguiamo le sue istruzioni e ci ritroviamo davanti ad una porta come le altre. Ci guardiamo confusi, Minh suona il campanello.
Ci apre una ragazza con la divisa da cameriera, confusa. Lasciamo che Minh le parli in vietnamita, e dopo qualche secondo e altri sguardi confusi di tutti i presenti ci fa cenno di entrare. Camminiamo attraverso la cucina e sbuchiamo nella sala con i tavoli, dove gli altri clienti stanno mangiando. Io, Leah e David continuiamo ad essere molto confusi dalla nostra entrata, Minh si comporta come se fosse tutto normale. Notiamo l’entrata principale del locale, era semplicemente dall’altra parte dell’edificio.
Ci lasciamo alle spalle l’entrata strana, e guardiamo i menù. Appena la cameriera viene a chiederci cosa vogliamo Minh inizia a ordinare quelle che sembrano diverse pietanze senza chiederci nulla. Noi non siamo ancora pronti, e gli diciamo che ordineremo dopo. Lui dice che non ce n’è bisogno e che ha ordinato abbastanza cibo per tutti.
Rassegnati aspettiamo che ci portino da mangiare. In poco tempo arriva un pancake vietnamita.
Il piatto è della dimensione di un piatto da pizza da pizzeria, e sopra c’è quella che sembra un omelette farcita enorme ma non di uovo. Minh mi conferma che è senza glutine, e ne provo un po’ assieme agli altri. È fatta con farina di riso, che la rende dolciastra, ed è chiaramente fritta. All’interno ci sono verdure cotte e carne. Niente male.
La dimensione però inganna, perché è molto sottile e in poco tempo l’abbiamo finita.
Minh non si ricorda se ne ha ordinata un’altra o no, e siccome io ho fame e non voglio passare un’altra notte sognando cibo ordino del riso con pollo. David fa lo stesso, Leah ordina un altro piatto tipico del locale.
Mentre mangiamo pianifichiamo le prossime giornate, e scopriamo che Minh se ne va un giorno prima di noi. Decidiamo di prenotare un hotel per l’ultima notte, non vogliamo approfittare dell’ospitalità dei suoi genitori.
Dopo aver mangiato a sazietà torniamo a casa. Dopo una rapida occhiata agli hotel in zona ne prenotiamo uno non troppo distante di buona qualità e andiamo a letto, domani ci aspetta un’altra alzataccia per un volo a Da Nang. La prossima vacanza voglio aver parola in capitolo sugli orari dei voli e dei trasporti.




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