Mi sveglio alle quattro pronto per entrare in azione. Controllo il telefono per sicurezza e un messaggio di Minh mi avverte che il volo è rimandato di due ore. Torno a dormire con la nuova sveglia puntata alle sei.
Il secondo risveglio è più problematico del primo. Ci ho messo un bel po’ di tempo a riaddormentarmi, e i miei occhi faticano a stare aperti. Una doccia mi aiuta a svegliarmi, e in trenta minuti io e Leah siamo pronti e aspettiamo Minh e David.
Il tassista viene a prenderci pochi minuti dopo, e saliamo in quattro sulla macchina diretta verso l’aeroporto. David ci racconta del suo viaggio. È un pilota di linea, lavora per Alaska airlines. Non appena scendiamo dal taxi Minh si rende conto di essersi dimenticato il passaporto. Prova a chiedere se il documento d’identità che ha con sè è abbastanza per viaggiare, dato che il nostro volo è nazionale.
La ragazza scuote la testa.
Minh chiama il padre, che si mette in viaggio per portarci il passaporto mancante. Mentre aspettiamo prendiamo un caffè in aeroporto. Nonostante siano le sette di mattina l’aeroporto è pieno di gente. Code di decine e decine di persone per qualsiasi cosa. È impressionante quanto questa città sia attiva. In effetti è una città da nove milioni di persone, il triplo di Roma, città più popolosa d’Italia.
Il passaporto arriva in tempo e ci mettiamo in coda per i controlli di sicurezza. Pochi minuti e siamo al nostro gate. Non appena saliamo sull’aereo mi addormento, pensando a Phu Quoc, l’isola dove siamo diretti.
Il volo è molto breve. 30 minuti. All’uscita dell’aeroporto ci aspetta un pulmino dell’hotel dove alloggeremo, l’Intercontinental. Arriviamo al resort in spiaggia e capisco cosa voglia dire lusso.
È un cinque stelle, la reception ha una vetrata con vista sulla piscina attorniata da sdraio e palme e dietro il mare. Dopo un rapido check in la ragazza alla reception ci accompagna alle nostre camere.
Potrei entrare nel dettaglio a descrivere camera, ma dire che c’è una vasca idromassaggio, un terrazzo con vista mare, un letto king size e un divano dovrebbe essere sufficiente.
Appoggiamo gli zaini e andiamo al ristorante, affamati. Ci accorgiamo che sono già le 12. L’ultima cosa che ho mangiato è stata il riso al centro commerciale, più di 18 ore prima.
Il ristorante è tra l’hotel è la piscina, con i tavoli all’esterno. Sembra di essere in una pubblicità di un’agenzia turistica.
Ordiniamo cibo in abbondanza, senza preoccuparci degli avvertimenti dei vari medici. Se non ci possiamo fidare di un resort a cinque stelle non c’è molto che ci possa salvare.
Arriva un po’ di tutto al tavolo, frutti di mare, pesce, pollo, riso e maiale. Condividiamo i piatti e scambiamo due chiacchiere in questo paradiso artificiale. Sono molto esausto dalla sveglia indecente, ma passeremo solo una notte qui e voglio godermi appieno questa giornata.
Ci diamo appuntamento con gli altri nel bar sulla spiaggia per il caffè e andiamo a metterci il costume. Per andare in spiaggia bisogna passare accanto alla piscina.
La piscina è su due livelli, uno più alto, verso l’hotel, e l’altro un metro e mezzo più in basso. Tra le due c’è una piccola cascata, entrambe hanno l’acqua all’altezza del bordo. Le chiamano “Infinity pool”, perchè danno l’illusione che non ci sia il bordo ma che continuino all’infinito quando ci sei dentro.
Attorno alla vasca principale ci sono anche zone con l’acqua bassa, al livello delle caviglie, con sdrai e ombrelloni sopra. Non mi trattengo e faccio un tuffo.
L’acqua è calda, e ci sono circa trenta gradi fuori. Temperatura perfetta. Faccio due bracciate e poi mi fermo a fare il morto guardando il cielo.
Non è la prima volta che faccio il bagno a gennaio, ma è sempre una sensazione fantastica. Ripenso a tutti gli inverni a Ferrara con calzamaglia e doppi guanti. Non più. Anche dove vivo adesso, a Barcellona, non ho mai messo un giubbino invernale.
Ma fare il bagno è ancora meglio.
Minh e David non si vedono, ci viene il dubbio che ci abbiano anticipato in spiaggia, così andiamo a vedere.
Li troviamo seduti ad un tavolino con due birre. Ci sediamo anche noi con loro e ci guardiamo intorno.
Palme, amache, il mare che placidamente avanza e si ritrae sulla sabbia a pochi metri da noi.
Un cameriere viene a chiederci cosa vogliamo, e ordiniamo quattro caffè vietnamiti.
Questo è quello che mi aspettavo dalla vacanza. Spiagge esotiche, cibi e bevande fantastici e sicuri, calma e fare il bagno.
Mi chiedo se l’acqua del mare sia fredda. Minh e David non sono ancora andati a sentirla, vado in avanscoperta mentre loro finiscono le birre e i caffè.
Con grande sorpresa l’acqua è più calda che non quella della piscina. Mi accerto che non ci siano meduse strane o pesci di taglia grande e poi faccio una breve nuotata. Ancora meglio della piscina. Il sapore del sale e l’odore del mare non si battono facilmente.
Uscendo dall’acqua noto un piccolo gazebo, dove un impiegato dell’hotel mi sorride e mi allunga un asciugamano da spiaggia.
Altro che topi e scarafaggi.
Peccato staremo qui solo una notte.
Raggiungo gli altri e li invito a fare una nuotata, Leah decide di stare a riva e si sdraia su un lettino. David si è portato la go pro, e vuole fare un video in stile baywatch di noi che corriamo verso l’acqua. Posiziona la camera su un treppiede nella sabbia e facciamo un paio di corse nell’acqua.
Non sono il tipo di attività che farei di solito, ma mi sento spensierato e non mi lascio intimidire. Notiamo che c’è anche una rete da beach volley e ci facciamo dare dall’impiegato dell’hotel una palla per giocare. Facciamo due scambi, ma la sabbia scotta e il sole picchia, e Leah decide di tornare all’ombra per riposarsi. Io e David torniamo a sdraiarci in riva a prendere un po’ di sole, e una donna di mezza età ci si avvicina.
Ci chiede se possiamo farle una foto con il mare, e David fa l’errore di accettare.
Per circa trenta minuti segue un monologo con pochissime interazioni da parte nostra. Io e David ci scambiamo spesso sguardi e ci sembra chiaro che non le stiamo dando agganci per continuare a parlare, eppure lei non dà cenno di voler smettere. Ci raccomanda posti da visitare, musei da non perdere e ci dice che vuole trasferirsi a Seattle quando scopre che David abita là. Non sappiamo come fare per farle capire che il discorso non ci sta veramente interessando, così la lasciamo parlare. Non sembra che le importi. Forse vuole solo parlare.
Infine mi accorgo che il suono della sua voce è svanito e che si sta allontanando. Siamo stati graziati. Ritorniamo verso Leah e Minh, sdraiati all’ombra, guardinghi per non essere colti ancora alla sprovvista da stranieri loquaci.
Notiamo che accanto al bar ci sono un tavolo da ping pong e un biliardo, e Minh mi sfida.
Pessima idea.
Dopo pochi scambi è evidente che il nostro livello non è lo stesso. A Barcellona gioco spesso in un tavolo in spiaggia a pochi metri da casa mia, e ho imparato a giocare quando ero piccolo. Mi è sempre piaciuto molto. Non sono un esperto, ma direi superiore alla media.
I due ragazzi che stavano giocando a biliardo accanto a noi se ne vanno, e decidiamo di provare noi. Io e Leah contro David e Minh.
Il biliardo mi è sempre piaciuto molto, e ha un fascino unico per me. Ogni volta che ne ho la possibilità vorrei giocarci.
Però sono scarso.
E si vede subito.
Trasciniamo la partita un po’ grazie a qualche errore loro, ma la sconfitta è inevitabile. Ordiniamo un cocktail per rinfrescarci e ci rilassiamo un po’ guardando la spiaggia. Il sole si sta abbassando.
Facciamo una camminata in riva guardando la sfera infuocata lentamente immergersi nel mare. Troviamo un piccolo promontorio con alcuni pescatori locali e facciamo qualche foto.
Tornando verso il resort noto l’evidente differenza tra i veri locali e noi turisti. Sapevo che c’era disparità, ma non mi è mai stata così evidente. Baracche improvvisate con qualsiasi cosa a portata di mano sono a pochi metri dagli hotel lussuosi a 5 stelle. Muri fatti con pezzi di barche, lamiere. Alcune non hanno porte o finestre. Uno dei pescatori ancora la barca e torna a riva con una piccola imbarcazione rotonda con un solo remo, prima di addentrarsi in una delle catapecchie.
Torniamo all’hotel e ci facciamo una doccia prima di andare sul bar sul terrazzo. Una ventina di piani più su si vede gran parte dell’isola e un bello scorcio di mare.
Il bar è arredato in modo strano, i tavoli, il bancone e le poltrone mi ricordano un po’ Lovecraft e Cthulhu. Il tavolo attorno a cui sediamo, ad esempio, è costituito da una base di tentacoli di metallo che sorreggono un cerchio di vetro.
Ordiniamo qualcosa da bere e da mangiare, e mentre aspettiamo il ritorno della cameriera mi avvicino alla vetrata che circonda il terrazzo.
Il mare è cosparso di piccole luci verdi. Sono ovunque, non ho mai visto nulla del genere. Minh mi spiega che sono pescatori a caccia di calamari, la luce verde li attira e sono più facili da catturare. Mi chiedo se il pescatore che ho visto prima fosse tra loro, e se i calamari che servono nell’hotel vengano da qui.
Brindiamo con i cocktail e ci rilassiamo. È stata una lunga giornata, e siamo tutti molto stanchi. Le noccioline che ci hanno portato per snack sono veramente ottime. Sono glassate ma non dolci, e non riesco a smettere di mangiarle. Due ciotoline dopo raccolgo la forza di volontà di non chiederne una terza alla cameriera. L’aria inizia a rinfrescarsi, e decidiamo di andare al bar in spiaggia vedendo che un gruppo sta iniziando a suonare.
Riusciamo a trovare l’ultimo tavolo libero, e ci sediamo. Siamo accanto ai musicisti, che ci accolgono con un cenno e un sorriso mentre continuano il pezzo. Stanno suonando cover di pezzi famosi, accettando richieste dal pubblico. La cantante è molto brava, ma non quanto quella che aveva cantato nel gay bar a Ho Chi Minh.
Guardando il menù siamo indecisi su cosa ordinare. Io e Leah vorremmo prendere un gin tonic, mentre David e Minh un whisky. Guardando i prezzi però ci rendiamo conto che possiamo comprare una bottiglia al prezzo di tre bicchieri, e mi lascio convincere dai ragazzi a dividerla. Chiedo comunque un gin tonic per rinfrescarmi prima di passare al whisky, ma il cameriere se lo dimentica.
La bottiglia arriva e iniziamo a bere ascoltando la musica. Il morale del gruppo però sembra un po’ calato, Minh è diventato silenzioso e sembra che lui e David trovino ogni occasione per punzecchiarsi. Io e Leah li ignoriamo al meglio che possiamo e io cerco di convincerli che non dobbiamo finire la bottiglia questa sera.
Riesco nell’impresa, e quando la musica finisce rientriamo nelle nostre camere. Sia David che Minh sono visibilmente ubriachi, io solo un po’ brillo, nulla che una lunga dormita e dell’acqua non possano risolvere. Non appena mi appoggio nel letto dell’hotel mi addormento.
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