La sveglia suona alle 3:30. Faticosamente ci prepariamo e prendiamo un taxi per l’aeroporto. Questa volta nessuno si scorda i documenti.
Mi impressiona il fatto che nonostante sia un orario assurdo l’aeroporto è colmo di gente. Saliamo sull’aereo, ho la fortuna di avere il posto della fila di emergenza, così riesco a stendere le gambe e a dormire per tutto il volo.
Mi risveglio atterrando. All’uscita dell’aeroporto ci aspetta la guida che starà con noi in questi giorni, che ci fa entrare in un pulmino. L’autista ci saluta e siamo per strada. Arriviamo a Da Nang, ci fermiamo in città per caricare tre amici di Minh che non sapevamo sarebbero venuti con noi. Sono due ragazze vietnamite e un americano. Ci fermiamo a fare colazione in un bar in città, la guida ci consiglia di evitare il pollo perché è selvatico e pieno di ossa, non come quello a cui siamo abituati. Io ignoro il suo avvertimento, ma scopro presto che aveva ragione. Bevo il brodo del mio pho senza praticamente riuscire a mangiare alcun pezzo di carne, e ripartiamo in direzione di Ba Na Hills.
Passeremo lì gran parte della giornata. Ci vuole circa un’ora di macchina per arrivare, e la guida inizia a spiegarci un po’ di storia del posto.
Quando i francesi arrivarono in Vietnam, durante l’estate per loro era troppo caldo stare in spiaggia o in città, così si misero ad esplorare le montagne e le colline nell’entroterra. Ne trovarono una dove crescevano molti alberi di banane e dove l’aria era fresca, così costruirono una piccola città e battezzarono il posto Ba Na, da cui Ba Na Hills.
Quando i francesi si sono ritirati dal Vietnam ed esso è diventato indipendente, il governo ha deciso di trasformare il posto in un’attrazione turistica. Diventò un enorme parco divertimenti. Costruirono funivie per collegarlo alla base delle colline, e ampliarono il villaggio costruendo attrazioni, hotel e altro. La prima funivia che costruirono si rivelò insufficiente per il traffico di persone che arrivavano a visitare il posto, e ne vennero costruite altre. Una di queste è attualmente la più lunga funivia al mondo, e la prenderemo per scendere questa sera.
Arriviamo alla base della funivia, compriamo i biglietti e ci mettiamo in coda. Le due ragazze vietnamite si fermano spesso a fare foto a qualsiasi cosa, e l’arrivare all’ingresso della funivia richiede un po’ più del previsto. Saliamo nella cabina, che parte e ci fa arrivare in cima alla collina dopo circa quindici minuti.
Quindici minuti possono sembrare brevi per la maggior parte delle persone, ma quando hai le vertigini e sotto di te c’è la giungla è diverso. Mi concentro a guardare avanti e in alto, non in basso, e finalmente arriviamo.
Usciti dalla funivia non siamo ancora arrivati al vero e proprio parco divertimenti, ma ad una parte del villaggio turistica. C’è un ponte qui, chiamato Golden Hands Bridge, che è sostenuto da due mani giganti e si affaccia sul lato della collina da cui siamo saliti. Siamo a più di mille metri di altitudine, e vediamo alcune nuvole al di sotto di noi.
Sul ponte ci sono centinaia di turisti che fanno foto ad ogni angolo della costruzione, cercando una posa unica che ricordi loro per sempre questo momento. Mi lascio trasportare dalla foga del momento e faccio qualche scatto anche io.
La guida ci fa proseguire verso una cantina francese, che ora serve da museo. Ci inoltriamo dentro la roccia, dove la temperatura scende notevolmente, e seguiamo il giro guidato che ci fa vedere dove i francesi conservavano il vino e dove facevano feste quando all’esterno era troppo caldo.
Al termine del giro sbuchiamo in un bar, dove sono in vendita vini e altre bevande. Decidiamo di fermarci a bere un calice seduti sul terrazzo del locale, con vista sulle colline e sulla vallata. Il vino è pessimo, immagino che tutti i vini buoni i francesi li abbiano bevuti o se li siano portati indietro.
La guida ci lascia un’ora per fare un giro nei dintorni, ci sono alcuni giardini con fiori curati, una statua di un buddha gigante poco lontano e altre attrazioni. Io e Leah ci dirigiamo verso il buddha. Facciamo qualche foto e ammiriamo il paesaggio. La zona del buddha è molto meno frequentata del resto, alcune persone accendono incensi e pregano davanti alla statua.
Prima di riunirci con la guida prendo un gelato per calmare la mia fame. È uno di quelli preconfezionati, ma non è male. Uno stecco con yogurt e frutti di bosco.
Quando il resto del gruppo arriva prendiamo un piccolo treno per arrivare ad una seconda funivia che ci porta in cima alla collina dove c’è il parco divertimenti.
Arrivati in cima la prima cosa che vediamo è un roller coaster, ma ci sono almeno un centinaio di persone in coda. La guida di lascia liberi fino alle 16:00. Io e Leah ci separiamo dal gruppo e iniziamo il giro dalla sala giochi su tre piani. Non è molto affollata, ma tutti i videogiochi sono occupati. C’è un piccolo museo dei dinosauri con riproduzioni che si muovono meccanicamente, un piccolo jurassic park, e lo visitiamo. La qualità è molto scadente, alcuni pezzi sono rotti, le luci malfunzionanti. Usciamo dall’edificio e decidiamo di fare un giro per il resto del parco. È strutturato come se fosse una piccola città, con ristoranti, bar, vie con palazzi in stile europeo e altro. Ad una delle estremità ci sono alcune pagode. Dopo aver visitato tutto prendiamo qualcosa da mangiare e un caffè e ci riposiamo. Il parco è interessante, ma l’aria di finto che emana non me lo lascia godere come vorrei. È molto evidente che tutto sia un’ostentazione, forse dovrei essere più piccolo e meno attento ai particolari per gustarmelo appieno.
Il resto del gruppo arriva con una mezz’ora di ritardo, e prendiamo la teleferica più lunga del mondo per tornare al parcheggio. Diciassette minuti di tragitto. Non ripeto la descrizione dell’andata, che si applica anche a questo passaggio.
Al parcheggio l’autista ci sta aspettando, e ci rimettiamo in strada. Le strade sono per la maggior parte vuote, attraversiamo alcuni piccoli paesi dove piccoli sciami di scooter attorniano il nostro pulmino all’entrata del paese e lo lasciano all’uscita. L’autista sembra disinteressato agli altri viaggiatori, suona spesso per far notare loro la presenza e per avvertirli di scostarsi dal cammino. Credo che gli piaccia suonare il clacson. Certe volte sembra che lo suoni perché si è ricordato che è da un po' che non lo faceva.
Lasciamo gli amici di Minh a Da Nang e noi proseguiamo verso Hoi An, un’antica città poco distante. David ci dice che vuole farsi fare un completo su misura, i sarti di Hoi An sono molto famosi per essere bravi e poco costosi, molti turisti si fermano in città per comprarne. Il sarto che gli era stato raccomandato è chiuso, la maggior parte dei negozi sono già in ferie per la preparazione del capodanno cinese, ma rimane comunque una buona selezione. I sarti sono l’attività commerciale più comune qui. La guida turistica ne conosce uno e dice all’autista di portarci lì. Parcheggiamo sul bordo della strada, causando qualche suonata di clacson, ed entriamo dal sarto.
È un locale molto grande, diverse commesse ci accolgono subito e ci fanno sedere ad un tavolo. Ognuna di loro ha un tablet e ci chiede cosa vogliamo comprare. Io ultimamente metto solo magliette bianche e pantaloni comodi, quindi le dico che sto solo accompagnando i miei amici. Anche Leah rifiuta, non vuole avere fretta di decidere qualcosa in maniera inaspettata. Usciamo dal locale e ci sediamo su una panchina aspettando che David e Minh facciamo le loro scelte. Circa un quarto d’ora dopo escono, e ci dicono che torneranno domani a provare i vestiti che saranno pronti per vedere se saranno necessari ritocchi.
La guida ci porta all’hotel e ci dà appuntamento per il giorno successivo alle 9.
Al check-in incontriamo un problema. Non riescono a trovare la nostra prenotazione, che la zia di Minh avrebbe dovuto fare a nome nostro. Minh rimane a parlare per diversi minuti senza capire dove sia il problema, e la ragazza alla reception ci dice che ha bisogno di un po’ di tempo per risolvere la situazione e capire quali camere ci possono assegnare. Noi intanto andiamo a cena in un piccolo posto che la guida ci aveva raccomandato a pochi metri dall’hotel.
Il menù è composto da tre cose. Pho con maiale, pho con pollo e pho con manzo. Ci sediamo su piccoli sgabelli ad un tavolo basso sul marciapiede e ordiniamo. Noto che il pho è preparato in un unico pentolone gigante, e la carne viene aggiunta direttamente nella ciotola. Ci servono immediatamente. Io e David ci scambiamo uno sguardo di dubbio sulla sicurezza del cibo per i nostri stomaci, ma siamo troppo affamati per rifiutare. Il pho è molto buono, e il fatto che sia bollito mi rassicura un po’.
Torniamo all’hotel e le nostre camere sono pronte. Minh ci spiega che sua zia, che è la proprietaria di un’agenzia turistica, aveva affidato il compito di prenotare il nostro itinerario e gli alberghi a uno dei suoi impiegati, che aveva capito che saremmo arrivati a Hoi An il giorno in cui ce ne saremmo andati. La nostra prenotazione era di tre giorni in ritardo.
Non so se Minh abbia dovuto pagare qualcosa extra o se abbiamo ricevuto un trattamento di favore, ma lo staff dell’hotel è molto gentile con noi. In camera c’è anche una lettera di scuse per il ritardo.
La camera è molto bella. C’è un letto a baldacchino enorme al centro e ogni sorta di comfort, come in quello a Phu Quoc. In fondo anche questo è un cinque stelle. Ci accordiamo con Minh e David per bere un cocktail al bar sul terrazzo dopo esserci rinfrescati.
Sul terrazzo c’è una piscina, che ci promettiamo di provare domani, e si vede quasi tutta la città. L’edificio non è molto alto, ma quasi nessun edificio lo è a Hoi An. Ci sediamo ad un tavolo vicino alla ringhiera e brindiamo alla seconda tappa del viaggio in Vietnam. Esausti dalla lunghissima giornata andiamo a letto presto.
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