Xin chào, Vietnam



Giorno 0

L'aereo parte in orario alle 22 del 16 gennaio. Destinazione Vietnam, dopo uno scalo a Dubai. Dopo che io e Leah ci siamo seduti ai nostri posti, una hostess passa con una polaroid vecchio stile. La indico a Leah, e lei pensa che io voglio fare una foto. Fa un gesto alla hostess e abbiamo in mano la prima foto del nostro viaggio.
Vorrei dormire in questo volo per adattarmi al fuso orario, ma non ci riesco. L'emozione di andare in vacanza è troppo forte, l'ultima volta che siamo andati insieme è stato in Grecia, la prima estate dopo esserci conosciuti.
Arrivati a Dubai sono esausto, mi sento lo stomaco sottosopra, non so se ho fame o no. Trovo una sala fumatori, non delle migliori ma dopo 6 ore di aereo non sono molto selettivo. Un cortado al bar mi aiuta a riprendermi, e siamo sul volo per Ho Chi Minh.
Il volo trascorre tranquillamente, inizio un videogioco sull'aereo e sono determinato a finirlo, ma presto mi stanco e dormo per un po'. Mi sveglio mezz'ora prima dell'atterraggio e dopo qualche sconfitta riesco a sconfiggere l'alieno e i titoli di coda scorrono sullo schermo. Perfetto. Lascio la firma "mp" sul punteggio più alto e metto piede in Vietnam.
Ci mettiamo in coda per il controllo del visto, ritiriamo i bagagli e usciamo.
Una marea di persone, alcune con l'occhio attento alla ricerca di qualcuno appena arrivato e altre che sembrano aver rinunciato ad aspettare. Cartelli con ogni nome in ogni lingua.
Usciamo dalla folla e ci incontriamo con Minh. Scambia due parole in Vietnamese con una ragazza e siamo in un taxi verso casa sua.
Uno sciame di scooter infesta le strade, in ogni momento sembra che stiano per scontrarsi ma riescono sempre a evitare il contatto all'ultimo secondo. Intere famiglie su due ruote, caschi che sembrano più padelle che altro e mascherine sulle bocche per respirare un po' meno smog.
Scendiamo dal taxi ancora con la testa che gira dal traffico. A casa di Minh c'è suo padre, che ci accoglie con un sorriso e ci fa accomodare. Nell'entrata della casa ci sono diversi scooter, mezzo di trasporto preferito vietnamita, e la cucina subito dietro. Beviamo un bicchiere d'acqua filtrata con un'apparecchio giapponese e mangiamo un po' di frutta locale. Siamo esausti, ma ci forziamo a fare una doccia e prendiamo un taxi verso il centro della città.
Usciamo dall'auto di fronte a Notre Dame, quella vietnamita. È una piccola riproduzione di quella parigina. Non maestosa come l’originale, ma la forma è stata mantenuta. Un piccolo gruppetto di persone sta pregando ad alta voce davanti alla chiesa e ci fa cenno di non passare davanti a loro ma fare il giro lungo. Le aggiriamo e attraversiamo la strada schivando gli scooter che ci vengono incontro. Il traffico non cambia mai, bisogna entrare nel flusso per capirlo, aspettare il proprio turno non funziona qui.
Passeggiamo tra le vie del centro, ai lati delle strade venditori ambulanti cucinano pietanze tipiche che provano a vendere ai passanti, senza molto successo. Locali di dubbia igiene sono affollati di persone, sedute su sedie di plastica sul marciapiede che mangiano pho a mezzo metro dal traffico e con scarafaggi intorno senza esserne disturbati.
Forse sono io che sono viziato.
Decidiamo di fermarci in un bar. Le parole del medico che ci ha fatto le vaccinazioni prima di partire echeggiano nelle mie orecchie.
"Niente ghiaccio".
Io e Leah ordiniamo una camomilla, Minh un caffè vietnamita ghiacciato.
Prendiamo un taxi e siamo a casa. La sveglia è prevista alle 7:30, deve venire l'idraulico a cambiare il water nel bagno che usiamo io e Leah. Speriamo che anche la puzza che esce dal bagno se ne vada.




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