Sveglia alle 7:30. Leggero disagio. Leah fa una doccia, e mi avverte che l'acqua è fredda. Scettico, aspetto per qualche secondo. La temperatura non cambia. Penso che l'ultima doccia fredda che ho fatto sia stata durante il cammino di Santiago. Trattengo il respiro. Non mi è mai piaciuta la doccia fredda.
Almeno sono ben sveglio nonostante le poche ore di sonno. Il mio stomaco è d'accordo e pretende una colazione. Minh è preoccupato per il traffico, preferisce prendere un taxi verso un bar dove far colazione. Dopo pochi minuti scendiamo, siamo accanto ad un lago. Casa di Minh è sull’altra sponda, ma non c’è un passaggio pedonale per arrivare qui. Ho l’impressione che i vietnamiti siano pigri, non ci sono marciapiedi o passaggi riservati per biciclette. Tutti vanno in scooter o macchina da tutte le parti, anche per tragitti di pochi minuti. Quasi tutti indossano mascherine davanti a bocca e naso, per evitare di respirare l’inquinamento. L’aria è pesante e c’è sempre odore di smog. Mi viene in mente quando mio padre o mio fratello si lamentavano che l’aria di Ferrara è sporca. Nulla a confronto di Ho Chi Minh.
Un bar/ristorante si dilunga sulla sponda del lago, alcuni tavoli su piattaforme su palafitte. È quasi vuoto. Ci dirigiamo verso uno dei tavoli sull’acqua, e noto un topo correre a nascondersi dietro a un tavolo sulla sinistra. Decidiamo per un tavolo un po’ più distante. Il menù è diverso da quello a cui sono abituato per colazione. Accanto al caffè c’è il pho, zuppa tipica vietnamita con spaghetti e carne. Solitamente gli spaghetti sono di riso, ma la fortuna non è dalla mia e qui li preparano di grano. La cameriera ci dice che è l’unica cosa disponibile perché i cuochi sono impegnati a preparare il pranzo per una grossa prenotazione che sarebbe arrivata a breve. Minh ordina per tutti. Arrivano tre pho, uno dei quali senza spaghetti, e mangiamo. Insieme al pho ci sono tre caffè vietnamiti che ci attendono. Il caffè vietnamita è preparato diversamente da quello italiano, la polvere si mette in un recipiente forato sopra la tazza, dopodiché si versa l’acqua bollente e si aspetta che la miscela filtri sotto. Il modo più comune di berlo è con il latte condensato, uno strato spesso mezzo dito sul fondo della tazzina. Leah lo prende senza.
Il gusto è molto intenso e molto dolce. La densità della bevanda è simile all’espresso da bar, ma con le calorie di un pranzo. Mi sento rinvigorito e riesco ad apprezzare meglio i dintorni. Il paesaggio è unico. Nel cuore della città questo lago sembra fuori posto, un ricordo dei vecchi tempi troppo definito per essere lasciato andare. Noto anche qualche carpa che nuota placidamente nell’acqua, speranzosa di avanzi di cibo. Minh chiama un taxi che ci accompagna verso il centro.
Passo il tragitto incollato al finestrino, il traffico attorno a noi è surreale. Non ci sono regole, scooter sfrecciano ad ogni lato e si sorpassano ad un passo costante. Le velocità sono ridotte, non superiamo mai i 30 km/h. I semafori sono poco più di indicazioni, e anche il senso di marcia è opzionale. Alcuni scooter tagliano per i pochi marciapiedi esistenti per salvare qualche metro o qualche secondo di traffico.
Ci fermiamo davanti a Notre Dame. Alla luce del sole è ancora meno impressionante. Assomiglia a quella parigina, ma non è che un piccolo modello in scala. Minh ci porta nell’ufficio postale poco distante. Turisti riempiono le strade, principalmente asiatici, pochi europei. Nell’ufficio postale vediamo impiegati che lavorano agli sportelli mentre turisti fanno foto attorno a loro. Minh ci spiega che l’ufficio postale è ancora funzionante, ma lo stile coloniale francese lo ha reso una destinazione per turisti. Una piccola bancarella per souvenir è al centro della stanza tra panchine utilizzate per aspettare il proprio turno.
Torniamo all’esterno e ci dirigiamo verso il palazzo dell’indipendenza. Compriamo i biglietti ed entriamo nel giardino. Il palazzo è molto grande, ispirato alla casa bianca statunitense ma con un’architettura unica. Diversi simboli cinesi possono essere trovati nella facciata, nella vista dall’alto e nella forma del palazzo stesso. Visitiamo le varie sale del palazzo, ma sono quasi tutte semivuote, ogni cosa di valore è stata portata via dai russi per pagare i debiti di guerra del Vietnam. All’ultimo piano c’è anche una sala cinema con ancora il proiettore in esposizione. È alto quanto me. Ripenso alle offerte che vedo ultimamente per i proiettori tascabili. Cinquant’anni cambiano molte cose. Scendiamo le scale fino sotto terra e ci ritroviamo nel bunker. Le pareti sono tappezzate di mappe, e alcune radio sono ancora sui tavoli. C’è persino un letto per il re.
Concludiamo la gita e torniamo al caldo umido.
Usciamo dal palazzo dal retro e decidiamo di fare un giro al mercato. Mi inizio ad abituare al traffico e capisco che l’unico modo per arrivare da qualsiasi parte è prendere l’iniziativa e fissare gli scooter che si avvicinano, continuando a camminare in avanti. L’ultimo attraversamento prima del mercato è un muro di veicoli. Il traffico procede a passo d’uomo, senza interruzione. Persone attraversano la strada in qualsiasi punto, e ci uniamo a loro. Dall’altro lato, alcuni mercanti sono seduti a ridosso del muro del mercato coperto con la merce davanti a loro. Vestiti, spezie, frutta, cibo cotto, souvenir. Alcuni mangiano pho nelle ciotole seduti su sgabelli che li separano dal terreno poco più di un paio di scarpe. C’è così tanta polvere e smog che istintivamente mi tiro su la maglietta sopra il naso.
E loro mangiano pho.
Qualcuno sgranocchia una rana fritta.
Entriamo nel mercato coperto.
Un fiume di persone ci trascina tra le bancarelle. I venditori provano a fermarci invogliandoci a comprare caffè o qualsiasi cosa gli sia a portata di mano. Continuiamo ignorandoli. Il mercato non è molto grande, ma la quantità di persone all’interno mi fa girare la testa. Forse quando andavo a concerti e volevo stare sotto il palco c’era una simile folla. Il fiume di persone ci trascina e infine ci deposita all’esterno. Devo ancora abituarmi al caos intorno a me, ma per fortuna anche Minh vuole prendersi una pausa. Ci fermiamo in un piccolo locale per mangiare qualcosa.
Dall’esterno sembra un posto che avrei evitato senza neanche pensarci. Non c’è nulla di attraente, l’insegna che non si distingue da quelle accanto, nessun cliente all’interno e una selezione minimale. Frutta e smoothies.
Un uomo sta sbucciando frutti che non riconosco ad un tavolo accanto al marciapiede. È scalzo e ha un secchio sotto il tavolo per le bucce. Qualche scarafaggio corre a nascondersi percependo i nostri passi. Ci sediamo ad un tavolo e Minh inizia a parlare in lingua vietnamita con l’uomo e con una donna che si è avvicinata dal retro. Le parole del medico riecheggiano ancora una volta.
°Niente frutta, niente verdura. Solo cibi cotti. E mi raccomando, niente ghiaccio. O la vacanza la passi in bagno.”
Lo smoothie è buono. Due tipi di frutta che non conosco, latte e ghiaccio. Minh mi ha rassicurato che di questo posto ci si può fidare. Leah ordina uno smoothie con frutta diversa e senza latte, Minh un piatto di frutta fresca su cui spargono un po’ di ghiaccio pestato. Vorrei evitare di prendere rischi non necessari, ma Minh insiste che il cibo è sicuro e che non ci dobbiamo preoccupare. Leah è veloce ad essere convinta, amante della frutta assaggia un po’ di ogni cosa. Io rimango un po’ sulla difensiva e metto in bocca solo piccoli pezzetti, dopo aver spolverato il ghiaccio dal boccone.
“Tanto anche se succede qualcosa ho tutte le medicine che servono con me.” Dice Minh.
Questo avrei preferito non sentirlo.
Proviamo a pagare ma rifiutano i nostri soldi. Minh ci spiega che aveva insegnato inglese alla figlia dei proprietari e da allora era considerato parte della famiglia, per cui non lo facevano mai pagare. L’uomo che stava sbucciando la frutta ci regalò un sorriso sincero mentre ci allontanavamo dal locale.
Prossima tappa, museo di arte moderna.
Voltato l’angolo attraversiamo una grande cancellata e compro i biglietti per tutti e tre con qualche migliaio di dong vietnamiti, corrispondenti a pochi euro, ed entriamo nel palazzo.
L’aria è afosa e solo poche persone sono all’interno. Le sale sono poco mantenute, alcune luci non funzionano, i quadri sembrano per lo più ignorati. Giriamo tutti i tre piani senza soffermarci troppo a lungo su alcuna opera. Poco prima di uscire noto un cartello che ci invita a scendere per vedere l’atelier di alcuni artisti locali.
Sperando di trovare qualcosa di più interessante che di sopra, convinco gli altri a scendere. Attraversiamo diversi atelier, un paio con gli artisti all’opera all’interno e uno vuoto. Uno degli stili in particolare attira la mia attenzione. Colori forti, pittura densa e spessa sulle tele. Rimaniamo a guardare i diversi dipinti nella stanza, e contemplo l’idea di comprarne uno di taglia grande da riportare a casa. Dopo una breve considerazione logistica mi metto a sfogliare piccole opere ad acquerello, e ne trovo una che mi convince.
Pago l’artista circa venti euro e usciamo dal museo con il primo souvenir dal Vietnam.
Minh ferma un taxi per tornare a casa, notando che sia io che Leah a fatica ci reggiamo in piedi.
Di solito io non faccio pisolini pomeridiani. Fatico a prendere sonno se non c’è buio e silenzio. Non oggi. Mi distendo e nonostante caldo, afa, puzza del bagno, luce e suoni mi addormento come un sasso.
La sveglia suona due ore dopo.
Mi accorgo subito di stare meglio perché ho fame. Fino a questo momento il mio stomaco non si era convinto della situazione. Adesso reclama cibo. Ma non prima di un’altra piccola avventura.
Per andare alla prossima destinazione, dovevo guidare uno scooter.
In quel traffico.
Minh mi lascia la scelta dello scooter tra i cinque che ha in casa. Prendo uno di quelli senza marce e un casco a scodella, unico modello disponibile. Pensandoci non avevo visto neanche un casco integrale da quando ero arrivato.
Lui si incarica di portare Leah come passeggera, io sono già abbastanza nervoso all’idea di guidare in mezzo a quel caos.
La nostra destinazione è il centro commerciale alla base del grattacielo più alto di Ho Chi Minh City, a meno di un chilometro da noi.
Senza pensarci troppo siamo nel traffico. Procediamo lentamente, come tutti, e cerco di stare a pochi metri dietro di lui. Mi è sempre piaciuto guidare lo scooter, ma questa esperienza è diversa. Il livello di attenzione richiesto è molto più alto di quello a cui ero abituato in Italia.
Non ci sono regole. In qualsiasi momento qualcuno può spuntare da entrambi i lati, tagliare la strada, frenare per non sbattere contro un pedone. Il rumore dei clacson è continuo. Dopo pochi minuti di disagio entriamo in un parcheggio sotterraneo, dove migliaia di scooter sono ammassati l’uno accanto all’altro.
“Non te la sei cavata male!”
Non so cosa rispondere. Ero terrorizzato in un primo momento, ma una volta entrato nel caos la cognizione di quanto pericoloso e disorganizzato sia si perde, e diventa un unico flusso.
Però sono contento di essere arrivato e di camminare con i miei piedi.
Il centro commerciale non è diverso da quello che ci si aspetta in un qualunque posto. L’unico elemento particolare è una pista sul ghiaccio tra i negozi.
Il mio stomaco mi ricorda che ho fame, andiamo nel “food court”, una serie di piccoli ristoranti che condividono i tavoli. C’è ogni sorta di cucina asiatica, e Minh ci consiglia di provare qualcosa di vietnamita.
Sono circa le cinque di pomeriggio. Fino a questo momento da stamattina ho ingerito un caffè vietnamita, uno smoothie e qualche piccolo pezzo di frutta.
Ordino un piatto di riso con carne di maiale in salsa dolce.
Ci sediamo in un tavolo con vista sulla pista da pattinaggio, e mangiamo. Rimango sorpreso dalla qualità del cibo, e non lascio nemmeno un chicco di riso nel piatto.
Mi sento rinvigorito. Ho la certezza che da questo momento il mio stomaco sia ritornato al suo regime normale, e potrò godermi il resto della vacanza.
Usciamo dal centro commerciale ed entriamo da un’altra entrata nel grattacielo. Da questo ingresso si arriva all’hotel e al bar al 75° piano.
Prendiamo il primo ascensore fino al 48° piano e poi cambiamo. Le mie orecchie si tappano per l’altitudine.
All’uscita dell’ascensore una ragazza ci accoglie e ci fa accomodare ad un tavolino sul terrazzo. Diverse coppie sono sedute a sorseggiare cocktail colorati, un dj è in carica della musica, di genere commerciale a medio volume. Una vetrata alta circa quanto me circonda il terrazzo. La vista è mozzafiato. La città è pervasa di luci, ferme e in movimento. Ordiniamo due gin tonic e facciamo un brindisi. C’è molto altro che ci aspetta in questa vacanza.
Il ritorno a casa in scooter ad esempio.
Mi offro di pagare ma per qualche motivo la mia carta viene rifiutata. Mi chiedo se la banca non l’abbia bloccata per precauzione visto che sono in un altro continente, ma potrò controllare solo una volta tornato a casa, con il wifi. Minh paga anche per noi.
Ritrovare lo scooter nel garage è più facile del previsto, e anche il ritorno a casa. Mi devo essere abituato al traffico.
Minh insiste per uscire nel centro città, ci vuole far vedere la vita notturna di Ho Chi Minh City. Prendiamo un taxi e ci facciamo portare vicino al centro, dove è allestito un mercato dei fiori. Tutte le famiglie in Vietnam si stanno preparando alla grande festa del capodanno cinese, e decorano le case con fiori e piante. Il mercato è allestito ai due lati di una strada all’interno di un parco. Sono bancarelle, ognuna con spazio per esibire alberelli, fiori e altro. Dopo aver camminato fino alla fine ci riteniamo soddisfatti.
Prossima tappa: la via dei bar.
Non so come si chiami la via, io l’ho battezzata via dei bar perché sono l’unica attività commerciale presente. La vista è particolare. La strada è affollata di persone, scooter, tavolini probabilmente abusivi e buttadentro. Alcuni posti hanno i buttafuori per evitare di far entrare certi tipi di persone, questi locali cercano di attirare clienti il più possibile e i buttadentro ti approcciano e iniziano a parlarti, a volte anche a toccarti e fare cenno di entrare nel bar.
Io sono troppo confuso per prestare attenzione a tutto quello che succede. I bar hanno musica a tutto volume per sopraffare quelli accanto, e il risultato è una cacofonia di canzoni commerciali che mi rintrona più di una bottiglia di whisky. Arrivati alla fine della via decidiamo di cercare un bar un po’ al di fuori di questo caos.
Allontanati dalla musica assordante Leah e Minh parlano di quante escort abbiano visto. Io dico che non mi è sembrato di vederne neanche una, e che sono cose che normalmente noto. Mi accusano di fare il finto tonto, così dico loro di farmi notare la prossima che vedono così posso capire di cosa stiano parlando.
Pochi metri dopo passiamo davanti a un piccolo bar con tre buttadentro diverse dagli altri.
Queste buttadentro sono tre ragazze ad occhio sulla ventina con pochi vestiti addosso. Sfiliamo davanti mentre sono distratte a cercare di accalappiare un ragazzo americano, ma non sfuggiamo loro di vista e una di loro mi prende il braccio e mi dice di andare a divertirmi con loro. Ho un breve flashback del mio primo weekend in Lussemburgo.
Mi libero senza fatica con un sorriso. Indicando Leah che mi sta tenendo per mano le faccio capire che ha sbagliato target. Poco dopo Minh ha un’illuminazione e si ricorda di un bar in cui è già stato. Un bar gay.
Il piano è semplice, un drink e ce ne andiamo.
Ci sediamo ad un tavolo all’esterno, e poco dopo la cameriera ci dice che si è liberato un tavolino di fronte al palco dove un duo sta suonando. Un chitarrista e una cantante, e suonano le canzoni che il pubblico richiede o pezzi famosi che tutti conoscono e a cui si possono unire in coro. Ordiniamo un cocktail e ascoltiamo.
Lei è una ragazza filippina un po’ sovrappeso che ha una voce fantastica. Canta in un inglese perfetto e riceve sempre sonori applausi dopo ogni canzone.
Un cocktail e due whisky dopo decidiamo di tornare a casa. Camminiamo brevemente per allontanarci dalla zona trafficata e saliamo su un taxi.
Il tassista sembra più assonnato di noi, e non supera i venti chilometri all’ora. Ci sorpassa qualunque cosa, incluso un vecchio in bicicletta con un carico di quelli che sembravano vestiti che avrebbe fatto invidia a un camion.
Minh è seduto nel posto accanto a lui, ed è visibilmente preoccupato. In un momento sembra che l’autista stia chiudendo gli occhi, lui lo risveglia appoggiandogli una mano sulla spalla e cerca di tenerlo sveglio per il resto del viaggio. Rifletto che anche se avessimo sbandato a quella velocità il peggio che poteva accadere era un fastidio di soldi da pagare per riparazioni alla carrozzeria.
Arriviamo a casa sani e salvi, con topi e scarafaggi che corrono a nascondersi quando scendiamo dalla macchina. Rientriamo in casa.
Minh ci avverte che domani dovremo prendere l’aereo alle 7 di mattina. Io e Leah andiamo a dormire, Minh rimane sveglio e andrà in aeroporto a prendere David, suo coinquilino a Seattle, verso mezzanotte. L’appuntamento è all’entrata alle 4:30.
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